Donne e precariato
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Dic

Ogni manovra porta con sé un nuovo bonus

Ogni manovra porta con sé un nuovo bonus

Ogni manovra porta con sé un nuovo bonus, un incentivo dal nome rassicurante, un annuncio presentato come una svolta epocale. Sembra che lo Stato voglia davvero sostenere le donne: lavoratrici, madri, single, giovani e meno giovani. Sembra. Perché nella realtà quotidiana, quella che fatica a sopravvivere, le promesse politiche si rivelano spesso vuote. Da anni la politica ripete lo stesso copione: “sosteniamo la natalità”, “aiutiamo le mamme”, “rilanciamo la famiglia”. Parole che si rincorrono a ogni campagna elettorale, ma che raramente si traducono in cambiamenti concreti.

 

Il messaggio politico e l’illusione del sostegno

Appena si scende dal palco delle conferenze stampa e si entra nella vita reale, il quadro cambia radicalmente. Al posto di politiche strutturali restano micro-aiuti frammentati, spesso difficili da ottenere, legati all’ISEE e limitati nel tempo. Misure che incidono poco, se non per nulla, sulla stabilità economica e sulle reali possibilità di una donna. Il messaggio ufficiale è sempre lo stesso: conciliazione tra lavoro e famiglia, tutela della maternità, sostegno alle famiglie fragili. Ma il messaggio politico e l’illusione del sostegno viaggiano su due binari paralleli che non portano mai alla rivoluzione promessa. Le donne continuano a muoversi in un mercato del lavoro ostile, dove la precarietà è la regola e la maternità resta un rischio. E come spesso accade, chi ha più bisogno è proprio chi riceve meno.

 

Precariato femminile e invisibilità sociale

La situazione diventa ancora più dura per le donne che hanno dedicato anni alla famiglia, alla cura dei figli, della casa e spesso anche di genitori anziani. Donne che non hanno avuto né un reale sostegno economico dal partner né politiche pubbliche di accompagnamento. Quando provano a rientrare nel mondo del lavoro, scoprono di essere improvvisamente fuori tempo massimo. L’età è considerata “scomoda”, le competenze ritenute non aggiornate, i curricula appaiono “vuoti” perché il lavoro di cura non viene riconosciuto come esperienza. Non esistono veri piani di reinserimento, i percorsi formativi sono pochi e spesso incompatibili con chi ha responsabilità familiari, e le reti di sicurezza sono fragili o inesistenti. Il risultato è una precarietà cronica: contratti brevi, part-time forzati, stipendi insufficienti a garantire autonomia e dignità. Il precariato femminile e l’invisibilità sociale finiscono così per erodere non solo il reddito, ma anche la fiducia e le prospettive di una vita migliore.

 

Madri single e discriminazione lavorativa

Per le madri single, la fragilità è ancora più evidente. Molte aziende continuano a evitare donne con figli piccoli o potenzialmente incinte. È una pratica nota, denunciata da anni, eppure ampiamente tollerata. Nel frattempo, alle donne si chiede di “fare più figli” mentre il lavoro stabile è un’eccezione, gli stipendi restano bassi, i servizi per l’infanzia insufficienti, gli asili nido pubblici pochi e costosi, e il costo della vita continua a crescere. Come può una donna permettersi la maternità in un sistema che non garantisce sicurezza economica né tutela lavorativa?

 

Bonus simbolici e problemi reali

Un bonus di poche decine di euro al mese viene spesso raccontato come un grande aiuto. Nella realtà copre a malapena una parte delle spese quotidiane: pannolini, babysitter, trasporti. Non cambia una vita, non costruisce un futuro. Il problema non sono i bonus in sé, ma l’assenza di una strategia strutturale: politiche del lavoro inclusive, tutele reali per la maternità, percorsi di reinserimento lavorativo e servizi pubblici accessibili. Su questi fronti, si continua ad agire poco.

 

Non servono promesse, servono diritti

Chi governa, troppo spesso, non vive le conseguenze delle proprie politiche. Chi siede in Parlamento o al Governo ha accesso a tutele, stipendi, agevolazioni e garanzie ben lontane dalla realtà di una madre single che fatica a pagare il nido o che non può permettersi di lasciare un lavoro precario per paura di non trovarne un altro. Ed è proprio questa distanza ad alimentare la sfiducia: il divario tra chi decide e chi, ogni giorno, cerca di tenere insieme lavoro, figli e sopravvivenza. Per sostenere davvero le donne non bastano annunci né incentivi simbolici. Non servono promesse: servono diritti. Serve un Paese che investa, che riconosca il lavoro di cura, che offra opportunità reali a chi vuole — o deve — ricominciare. Finché questo non accadrà, le promesse resteranno tali. E la realtà continuerà a essere sostenuta, ancora una volta, solo dalle spalle delle donne.